Plutone

Plutone, da pianeta a pianeta nano

Scienza e ambiente

Plutone venne scoperto quasi per caso. Nel 1929 l’astronomo amatoriale Clyde Tombaugh aveva trovato posto all’osservatorio di Flagstaff, in Arizona, per cacciare il cosiddetto Pianeta X, un presunto pianeta che avrebbe causato un’anomalia nel moto di Urano. Più avanti si sarebbe scoperto che non c’era alcun Pianeta X e che in realtà anche l’anomalia nel moto di Urano era frutto di un’errata stima della massa di Nettuno. La caccia ai pianeti a quel tempo richiedeva una grande dose di pazienza: Tombaugh aveva il compito di confrontare moltissime lastre fotografiche di porzioni uguali di cielo ma ottenute in momenti diversi. Se qualcosa si fosse mosso rispetto allo sfondo del cielo, delle stelle fisse, poteva essere solo un oggetto del Sistema Solare. E fu proprio così che nel febbraio 1930 Tombaugh scoprì Plutone. Pensò di essere riuscito nell’impresa, di aver trovato il tanto agognato Pianeta X. Ma l’emozione si spense rapidamente: Plutone era molto piccolo, troppo per poter avere, su Urano, l’influenza gravitazionale cercata.

Un mondo strano

Fino al 2006 non esisteva una definizione di pianeta. Del resto non se ne era mai sentita l’urgenza: i pianeti erano otto, con Plutone erano diventati nove, ma tutto sommato la faccenda finiva lì. Eppure, studiando Plutone, qualcuno iniziò a storcere il naso. Plutone non era solo minuscolo, con un diametro pari alla metà del già piccolissimo Mercurio. Plutone aveva un’orbita molto schiacciata e molto inclinata, e una superficie ricoperta di ghiacci. Caratteristiche che lo facevano somigliare decisamente più a una cometa che a un pianeta. Ma Plutone ha anche alcune caratteristiche che lo accomunano ai pianeti: è sferoidale, e ha dei satelliti (CaronteNixHydraKerberos e Styx). La sua natura ibrida tra questi corpi lo ha sempre reso in qualche modo diverso dagli altri pianeti.

L’arrivo di Eris

Pur lasciando qualcuno insoddisfatto, la situazione rimase stabile fino al 2005. Quell’anno, un gruppo di astronomi guidati da Mike Brown del Caltech aveva annunciato la scoperta di un nuovo oggetto Trans-Nettuniano – quelli che si trovano oltre l’orbita di Nettuno come, appunto, Plutone. Il procedimento era proprio lo stesso che Tombaugh aveva adottato per Plutone, ma fatto con metodi moderni e automatizzati. Fino a quel momento la maggior parte di questi oggetti scoperti erano sostanzialmente equivalenti agli asteroidi o alle comete. Ma quello di Brown e colleghi era diverso: Eris era sferoidale, aveva l’orbita schiacciata e inclinata. Aveva insomma, le stesse caratteristiche che rendevano problematico Plutone. Un comunicato della Nasa del luglio 2005 titola “scoperto il decimo pianeta”. Ma ormai era chiaro che la scoperta di Eris era un punto di non ritorno. E non finiva lì: lo stesso team annunciò anche la scoperta di Makemake, un altro team quella di Haumea. Entrambi corpi dalle stesse caratteristiche. Insomma, la regione Trans-Nettuniana si stava improvvisamente popolando di quelli che, se Plutone era un pianeta, dovevano essere altrettanto pianeti.

La risoluzione dell’Iau

O si accettava un Sistema Solare in cui i pianeti erano almeno 12, ma con ogni probabilità destinati ad aumentare ulteriormente, oppure bisognava costruire finalmente una definizione di pianeta. Nel 2006, poco dopo il lancio della sonda New Horizons che puntava proprio a Plutone, l’Unione Astronomica Internazionale istituì una commissione per decidere quali fossero le caratteristiche che un oggetto celeste dovesse avere per essere definito pianeta. La commissione arrivò allora alla storica risoluzione B5, che definiva che un pianeta, per essere definito tale, doveva rispettare tre caratteristiche: orbitare attorno al sole, avere una massa sufficiente per essere più o meno sferico, e aver ripulito le vicinanze della sua orbita. Un oggetto che non rispetta quest’ultima caratteristica, viene definito pianeta nano. Un oggetto che non è neanche sferoidale, viene definito corpo minore, sia esso asteroide o cometa. Plutone, Eris, Makemake, Haumea, e anche l’asteroide Cerere, diventavano allora pianeti nani, e a Plutone, con la risoluzione B6, si riconobbe il ruolo storico di capostipite di questa classe di oggetti. Spesso quindi si parla di declassamento di Plutone, ma questo è un errore storico, perché prima del 2006 una definizione di pianeta non esisteva affatto. Sarebbe più corretto dire che dal giorno della pubblicazione della risoluzione B5, Plutone e tutti gli oggetti del Sistema Solare hanno finalmente ottenuto una definizione. Nel frattempo peraltro abbiamo scoperto molti altri pianeti nani. Oltre a quelli citati, ci sono OrcusQuaoarGonggongSalacia2002 Ms4 e Sedna, che sono in lista di attesa per essere ufficialmente riconosciuti come pianeti nani. E poi ce ne sono un’altra cinquantina che potrebbero essere aggiunti alla lista nei prossimi anni se ulteriori studi ci confermeranno le loro caratteristiche.

Una definizione non così rigida

Ancora oggi però, questa risoluzione dell’Iau lascia molti insoddisfatti, soprattutto perché è così qualitativa da lasciare di fatto spazio a molta arbitrarietà. Il confine tra pianeta e pianeta nano si gioca sulla sua capacità di aver ripulito l’orbita, ma un’orbita veramente pulita nel Sistema Solare non esiste. Asteroidi, comete, polvere, intersecano l’orbita di ogni oggetto planetario, anche dei pianeti principali. Si intende in genere che questi corpi non debbano essere di dimensioni confrontabili, ma tale affermazione nella risoluzione non è scritta. Ci sono state varie proposte nel corso del tempo per formalizzare matematicamente queste definizioni, ma di fatto ancora non si è arrivati ad accettarne nessuna in maniera definitiva. Peraltro un’ulteriore criticità è che la definizione attuale non considera i pianeti extrasolari come pianeti, perché la risoluzione parla esplicitamente di oggetti del Sistema Solare.

Fonte: Wired

Immagine: Nasa

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