I farmaci equivalenti tra scienza e bufale

antibiotici
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I  farmaci equivalenti sono quelli che presentano lo stesso principio attivo, la stessa forma farmaceutica, lo stesso dosaggio e lo stesso modo di somministrazione dei medicinali “firmati”, il cui brevetto è scaduto.

Perché i medicinali siano definiti equivalenti deve essere dimostrata sperimentalmente l’uguaglianza terapeutica con il medicinale di riferimento da cui originano, ma non per questo devono avere necessariamente la stessa composizione in eccipienti né lo stesso processo di produzione.

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I requisiti di base per ottenere l’autorizzazione alla commercializzazione sono gli stessi per tutti i farmaci, con la sola differenza che i produttori di medicinali equivalenti non devono ripetere gli studi di sicurezza ed efficacia, già condotti dal produttore del medicinale di riferimento, perché non si tratta di un principio attivo nuovo ma di una sostanza ben conosciuta ed usata da molti anni.

Come gli altri medicinali, anche quelli equivalenti sono sottoposti al controllo del rapporto beneficio/rischio, attraverso il rilievo delle segnalazioni che riguardano reazioni avverse o l’inefficacia del prodotto, e monitorati continuamente sia a livello nazionale che a livello europeo.

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Inoltre, sono soggetti a vari controlli rigorosi, come quelli eseguiti dall’Istituto Superiore di Sanità a campione, per verificare che rispondano ai requisiti di qualità autorizzati al momento della registrazione, prelevati tra quelli venduti in farmacia dai carabinieri NAS

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In conclusione, i medicinali equivalenti devono garantire la medesima efficacia farmacologica e avere un profilo di tollerabilità uguale al medicinale di riferimento in commercio da almeno 10 anni, quindi sono talmente simili da rendere improbabile che possano produrre differenze rilevanti in termini di efficacia e sicurezza (leggi la Bufala).

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Usare i farmaci equivalenti rappresenta uno strumento importante per il contenimento della spesa sanitaria, per favorire l’accesso a cure costose al maggior numero di malati e per permettere di liberare risorse da destinare alla ricerca di cure innovative.

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