Eden
“Chissà perché le persone che incontro hanno tutte le facce scure e gli sguardi da tori furiosi?
Forse anch’io visto da loro sembro un orso; ma no, io ho sorriso: a Franca appena sveglio, al giornalaio, alla bidella, alla mamma di Lisa, al barista e in macchina ho intonato tutte le canzoni, improvvisando cori con la radio, inventando strofe intere”.
Luca le avrebbe anche ballate, se non stesse guidando. Bello ballare. La mente gli corse a quando nei bar c’era il jukebox: una moneta, un pulsante e iniziava la festa. Si ballava nei bar, tra i tavoli, indifferenti ai presenti. I più anziani restavano apposta per ricordare di quando un ballo ti faceva conquistare un amore. Qualcuno di loro afferrava una ragazza e si improvvisava insegnante di valzer, perché con quei balli moderni non ci si poteva toccare.
Sembrava ci fosse più gioia, che fine ha fatto? Oggi, per esser presi sul serio, si deve parlare dei problemi, bisogna essere composti e l’allegria è il difetto di chi non capisce i drammi esistenziali.
Sarà perché allora si aveva poco, ci si accontentava; ora tutto è diventato un dovere, una meta da raggiungere, anche divertirsi.
Luca ripensò a quando Don Francesco gli chiese: “Secondo te qual è lo scopo dell’esistenza di un fiore? Sta lì in mezzo a un prato, non è utile, che senso ha la sua vita?”
“Per essere raccolto!”, gli aveva risposto, ma aveva capito cosa intendesse: il fiore non ha alcun compito, non si apparecchia traguardi, esiste e basta.
Sorrise: “Me la immagino Franca: «Quante sciocchezze! Noi non siamo fiori, nessuno ci regala niente, dobbiamo guadagnarci la vita!» E’ vero, amore, è così; però quanto mi piacerebbe portarti a ballare a piedi scalzi in mezzo a un prato…”.
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