Il mondo dei ragazzi che tra naia e università crescono con i propri legàmi

Datemi una Leva e saluterò il mondo

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Carlo tornava il venerdì, in autobus, ogni quindici giorni, e ripartiva la domenica.

Noi, amici, lo aspettavamo nella piazza del paese, tutti insieme, e quando scendeva in divisa militare lo accoglievamo in silenzio,  come se fosse sopravvissuto all’Apocalisse.

Salutava per prima la fidanzata,  poi abbracciava le femmine e dava pacche sulle spalle ai maschi.

Quelli della mia età che a diciotto anni sono andati a fare “ il soldato” ne parlano ancora oggi, dopo più di 30 anni.

Dicono di essere stati  formati, smussati, rinforzati. Alcuni ancora traumatizzati, tanti si vantano come se avessero ucciso il leone di Nemea con le sole mani. Tutti ugualmente convinti di essere diventati superuomini, grazie a quell’anno di arruolamento obbligatorio.

Ho sempre notato questa  differenza con gli altri amici, quelli che hanno frequentato l’Università,  costretti pure loro fuori casa e per minimo cinque anni (all’epoca non esisteva la laurea breve), in una città sconosciuta, impegnati a studiare e autogestire qualsiasi cosa, qualcuno lavorando per potersi pagare gli studi, e che mai si sognerebbero di  ritenere quel periodo come l’unica origine della loro virilità.

Invece loro no, ci tengono a ribadirlo: “Sono un uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo!”, canzonava Totò.

Poi , però, li osservi meglio e ti accorgi che  tanti non hanno mai mollato il grembiule delle mamme, che, più sconvolte di loro per l’anno di distacco, al ritorno hanno pure ricominciato ad allattarli trasformandoli in poppanti egocentrici e lamentosi.

Comunque, quando arrivava la domenica, in piazza Carlo si trovava di fronte un’altra scena: lo prendevamo in giro, gli battevamo “la stecca”, gli cantavamo inni militari e gridavamo nelle orecchie quanti giorni mancavano all’Alba.

Lui saliva sull’autobus con le lacrime agli occhi, ma lo sapeva che facevamo tanto chiasso per non fargli scordare  che il mondo suo, per diventare Uomo, era con noi.

 

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