Giorgia Meloni

Il governo Meloni e un pessimo clima

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Da oggi, di fatto, parte il nuovo governo Meloni, con la fiducia alla Camera e al Senato, che saranno votate senza preoccupazioni, vista la maggioranza assoluta di destra in entrambe le Camere (semmai sarà da vedere, di quanto si discosterà e se in più o in meno, dai numeri sulla carta).

Se ce ne fosse stato ancora bisogno, per chi stancamente segue le cose della politica italiana, il discorso della presidente del consiglio non lascia adito a dubbi. In definitiva già si era saputo, da prima, dalla campagna elettorale, dai programmi e, soprattutto, dalle posizioni che sempre hanno avuto le formazioni di maggioranza. Però Meloni oggi si è presentata ufficialmente in Parlamento da Presidente incaricato.

Poi c’erano stati i nuovi nomi dei ministeri, a partire -per quanto mi riguarda- da quello (ex) della Transizione ecologica che ora è Ambiente e Sovranità energetica.

Un pessimo clima

Ebbene, il discorso di Meloni, oggi, ha tolto qualsiasi dubbio. Il clima non è stato citato mai. O meglio, è stata accennata, ma giusto come un compitino, per dovere, l’emergenza climatica: “Servono investimenti strutturali -ha affermato la neo presidente del consiglio –per affrontare l’emergenza climatica, le sfide ambientali, il rischio idrogeologico e l’erosione costiera […] La cura per il nostro territorio, da ogni punto di vista, sarà una priorità per questo governo.”

Finisce tutto lì, una cosa appoggiata sul mobile rientrando a casa. Cosa sia l’emergenza climatica, quali ne siano state e ne siano le ragioni, come superarle e come affrontarla? Zero. Quali sono gli investimentii strutturali per affrontarla? Non si sa. Ma l’importante è andare per slogan vuoti, luoghi comuni.

L’ecologismo conservatore

Più avanti, Meloni poi aggiunge un altro passaggio che va per massimi sistemi. Vuoti. “Non c’è un ecologista più convinto di un conservatore, ma quello che ci distingue da un certo ambientalismo ideologico“, e qui si torma alla questione climatica e dell’emergenza climatica che non è stata declinata, e che anzi, si paventa come ideologia, “è che noi vogliamo difendere la natura con l’uomo dentro. Coniugare sostenibilità ambientale, economica e sociale. Accompagnare imprese e cittadini verso la transizione verde senza consegnarci a nuove dipendenze strategiche e rispettando il principio di neutralità tecnologica. Sarà questo il nostro approccio.”

Tradotto, d’altra parte e nel quadro complessivo delineato all’inizio, della transizione non ci interessa, perché è del clima che non ci interessa. E per questo non ci consegneremo alla Cina (lo aveva affermato qualche mese fa, pubblicamente) che detiene i materiali della transizione. E quindi?

Conservare la crisi ambientale

E quindi nulla. Quindi cambiano la denominazione al Ministero, ne spezzettano deleghe in altri (vedi la Mobilità alle Infrastrutture, il Mare insieme al Sud), mettono un Ministro che non c’entra nulla con il tema (a proposito di Merito), che a meno di due settimane dall’inizio della COP27 in Egitto è completamente asciutto di competenze e di diplomazia climatica, che sarà necessaria per contare sui tavoli mondiali; anzi, come primo atto del primo consiglio dei ministri, si conferma la presenza dell’inutile e dannoso ex ministro Cingolani, per sei mesi come consulente sui temi dell’energia (fossile).
E si ridà fiato alle trombe (dell’apocalisse climatica) del gas, delle trivellazioni, del nucleare.

La sovranità energetica (che non c’è)

Cosa resta e resterà? Nulla di fatto. Soltanto parole, vane, vuote e soprattutto sbagliate. Forse l’unica sovranità che sarebbe stata necessaria è quella energetica. Ma invece no, vuoi mettere la Sicurezza.
Perché avrebbe voluto dire investire in tutto quello che invece è, sarebbe e sarà (altrove) necessario per affrontare davvero l’emergenza climatica: le energie rinnovabili. Vento, sole, acqua in parte. Studiare e investire in ricerca su tecnologie già esistenti sulla carta, come l’energia dalle maree.
In un Paese come l’Italia, poi. E non fossili, non gas. Quello serve. E infatti altrove quello si pianifica e si è fatto e si fa. Per essere indipendenti quanto più si può dalla dipendenza energetica estera. Non solo dal gas russo. Ma dai fossili in generale.

D’altra parte i partiti della maggioranza, in Europa, hanno votato sistematicamente contro tutti i provvedimenti a favore della transizione ecologica. Tutto ciò che servirebbe. E, anzi, hanno cercato di annacquare e continuano a farlo tutti i provvedimenti relativi al Fit for 55 e alle connesse politiche del Green Deal europeo.

Cosa resta e resterà? La fiamma del partito di Meloni. Che oltre a essere l’antico retaggio da cui proviene è una dichiarazione programmatica: una garanzia, insomma. Di inazione climatica, al di là di qualsiasi vuota dichiarazione di principio.

Un clima pessimo, dunque. Per iniziare.

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