Da Ed the Joy a Springfield: 10 brani sconosciuti di Battiato

Franco Battiato
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Ecco una carrellata di brani “nascosti”, in cui il Franco Battiato si presenta con pseudonimi, alter ego, o semplicemente si nasconde nelle pieghe dei dischi proprio come esercizio di sparizione nel nulla, al di là del contingente e della “falsa personalità” dell’essere.

Genco Puro & Co., “Nebbia” (1972)

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Invitato da Pino Massara, patron della storica etichetta Bla Bla che produrrà le sue prime opere “alternative”, nel 1972 Battiato partecipa alla stesura di questo disco di Riccardo Rolli. L’obiettivo è di fare un album alla svelta, più per rimpolpare il catalogo della label che per concentrarsi sulla produzione: a Battiato sarà chiesto di mettere assieme su due piedi dei brani inediti per completare il tutto. Saranno 7 su 12. Battiato è accreditato con il soprannome Ed the Joy, nick condiviso con Massara tanto che per anni sorgeranno grossi equivoci tra gli esperti per capire chi scriveva cosa. Battiato ritira fuori alcuni pezzi dal suo periodo beat, altri dal periodo strettamente da balera e altri ancora che già hanno un sapore art pop. C’è spazio però anche per tracce come questa Nebbia, che per complessità e intensità esistenziale non avrebbe sfigurato nel primo disco sperimentale del nostro, ovvero lo storico Fetus. Non si tratta però di uno scarto, anzi. Franco lo canta personalmente perché, sempre per fare tutto alla svelta, Massara gli farà interpretare tre brani altrimenti difficili da realizzare nei brevi previsti, trasformando il progetto Genco Puro & Co. da personale faccenda di Riccardo Rolli in qualcosa di forzatamente collettivo (molti brani erano infatti composti dai protagonisti direttamente in studio, con i testi al volo di Rossella Conz). Certo è che oltre alla voce e alle composizioni, Battiato presta anche il suo sintetizzatore VCS3 , che mette un marchio inconfondibile a tutto l’LP.

Capsicum Red, “Tarzan” (1972)

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Una volta c’era un filo sottile che legava l’underground al mainstream. Ne è l’esempio, l’amicizia tra Red Canzian e Battiato, nata proprio negli anni della Bla Bla: il primo è chitarrista, voce e frontman dei proggers crimsoniani Capsicum Red, l’altro si divide tra lo sperimentalismo di Fetus e il supergruppo Osage Tribe, nel quale Red militerà prima di ripiegare sul basso ed entrare a far parte del gruppo più famoso d’Italia, ovvero i Pooh. Battiato sbancherà le classifiche molto più tardi, seguendo il suo compagno d’avventure milanesi nel terreno minato del pop di successo, nel frattempo scriverà per i Capsicum questo singolo che avrà un moderato gradimento. Battiato era particolarmente preso dal concetto di primitivismo, di ritorno alla natura contro la società dei consumi (prima ancora dei Bow Wow Wow), tanto che fondò lui stesso, da lì a breve, gli Osage Tribe ispirandosi alle gesta dei pellerossa. Le sessioni avvennero a Londra, e nessun componente dei Capsicum partecipò alle registrazioni a parte Red: la base fu suonata dagli Stone The Crows, band hard rock inglese. Fu lì che Canzian incontrò Battiato, vestito con un mantello nero, cappello nero e ricci alla Jimi Hendrix: una presenza inquietante ma magnetica. E forse anche “fumettistica”: i testi del brano sono infatti spiccatamente ispirati ai comics, alla pop art e non sappiamo quanto volontariamente pre Ramones”: da Tarzan a “a Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata” il passo è breve.

Osage Tribe, “Hajenhanhowa” (1972)

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Nel 1972 esce anche il primo LP degli Osage Tribe, ovvero Arrow Head. Battiato è presente come co-autore solo nella prima traccia, dagli accesi toni psichedelici: il sound ricorda qualcosa dagli arrangiamenti di Fetus (il pianoforte, la voce deformata), ma è tutto virato in un contesto per l’appunto più tribale e decisamente hippie (il verso “Dio della vita dai luci alle menti” parla chiarissimo). Quando partono le percussioni siamo già trasportati nel vecchio West a fumare il calumet della pace (anzi della guerra, parlando di resistenza quasi da “indiani metropolitani”), in una descrizione naïf della vita selvaggia, con tanto di pseudo canti propiziatori dei nativi verso gli spiriti della natura. Battiato abbandonerà presto il progetto, forse preferendo improvvisamente alla natura i “serbatoi di produzione” descritti in Pollution, lasciando però in eredità la sua voce nel fortunato singolo Un falco nel cielo, che però non lo vede come autore.

William, “Gulliver” (1974)

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Tra le imprese di Battiato come autore conto terzi c’è anche questo curioso lato B di un singolo cantato da un certo William. Mentre nel lato A c’è un pezzo scritto addirittura da Vecchioni, nel retro Battiato co-firma un brano che sembra una specie di post beat dell’era atomica dal testo pieno di violento livore per un presunto rivale in amore che contiene anche citazioni dirette di Arancia Meccanica (Gulliver era il nome per indicare la testa usata dai Drughi e dall’allucinato Alex). Musicalmente non è solo questo, anzi: potremmo dire che con il suo “pestone” proto punk di batteria e il sintetizzatore di matrice Roxy Music che si spappola tra chitarre distorte e ampi pad di tastiera, anticipa addirittura i Gaznevada. Il disco sarà pubblicato da una sussidiaria della Bla Bla, la M2. Gli arrangiamenti sono del grande Roberto Cacciapaglia indicato nei crediti come autore delle musiche accettando di coprire Battiato. Amico di Cacciapaglia, William viene ingaggiato per interpretare un personaggio “a progetto”, un po’ come accadrà poi negli anni ‘80 dell’italo disco e dei vari Den Harrow.

Alfredo Cohen, “Roma” (1978)

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Della collaborazione eccellente tra Battiato e Alfredo Cohen non si è mai detto abbastanza. Se molti ricordano il secondo per aver contribuito ad Alexander Platz di Milva, non tutti sanno che originariamente il vero titolo del brano era Valery e il testo di Cohen (uno dei primi gay militanti e dichiarati in Italia) era scritto in onore della trans bolognese Valerie Taccarelli (il tema del transessuale in una città ostile è lo stesso della rielaborazione di Battiato, solo meno esplicito). Il lato B del singolo omonimo, sempre scritto da Cohen, Battiato e Pio, è invece una misconosciuta ode alla città eterna. Roma è uno dei più clamorosi e stupendi atti d’amore in musica per la capitale, posto di eterne contraddizioni. Il synth di Battiato serpeggia come il torbido Tevere per tutta la canzone, lasciando il cuore in solluchero. Franco recupererà parte della melodia e dell’arrangiamento tagliandolo e cucendolo in quella che sarà la nostalgica Passaggi a livello, contenuta su Patriots. Che nessuno si ricordi questo capolavoro è, ad ogni modo, un crimine contro l’umanità: ora potete rimediare.

Astra, “Adieu” (1978)

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Altro brano raramente considerato se non dagli appassionati, è uno dei primi esperimenti di Battiato atti a sviluppare il concetto di nuovo pop. Con l’aiuto degli archi di Giusto Pio, elaborava in questo brano i primi “goffi” tentativi in questo senso, trampolino di lancio evolutivo per giungere nel volgere di neanche un anno al chirurgico L’era del cinghiale bianco. Anche qui Battiato si nasconde dietro l’immagine di copertina del singolo, che vede un allampanato figlio di Giusto Pio occupare il suo posto, custodia di violino inclusa. Il brano sarà riciclato più di una volta da Battiato, facendoci pensare che abbia delle caratteristiche “magiche” a noi sconosciute: la prima volta per Catherine Spaak (Canterò se canterai del 1979), la seconda volta trovando la sua forma definitiva e superiore nella splendida Una storia inventata, cantata da Milva e singolo di punta di Svegliando l’amante che dorme, album del 1989.

Springfield, “Love” (1973)

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Battiato tenta ogni strada possibile per sperimentare “punti di fuga” nella musica. Mentre acquista popolarità dal punto di vista di artista d’avanguardia, registra questo Love con lo pseudonimo di Springfield, cantando in inglese e producendosi in una sorta di wall of sound spectoriano, quasi plagiando Be My Baby. È uno dei tanti esperimenti di Battiato per capire i meccanismi della musica di massa e trasformarli in qualcosa di diverso: ovviamente all’epoca l’ambiente musicale (soprattutto quello più radicale, che bazzicava) non gli avrebbe mai perdonato uno “scivolone” del genere. Normale quindi che si nascondesse dietro un nick e che probabilmente dietro quest’operazione ci sia una sorta di “truffa” ai danni degli ascoltatori del pop più mellifluo. Non solo i testi, volutamente banalissimi e melensi, ma anche la copertina con delle api in un fiore impegnate a succhiare il miele fanno pensare a uno sfottò ben congegnato. Nonostante questo rimane impeccabile nella sua leggerezza, quasi anticipando certi ermetismi minimali dei testi synth pop degli ’80. Da notare la voce di Battiato che nell’intro viene modulata fino a dare l’illusione che sia femminile, cosa che rende il tutto ancora più ambiguo.

Michael Cassidy, “Srita Kampala” (1978)

In questo caso non parliamo propriamente di un brano di Battiato, ma di un suo adattamento di una narrazione religiosa (detta Kirtan), una specie di “classico” del famoso yogi Bhagavan Das. Srita Kampala è contenuto in un disco di Michael Cassidy. Il cantautore è un devoto Hare Krishna e l’album è inciso per il circuito religioso di cui sopra. Ciononostante troviamo nell’arrangiamento degli accenni a quelli che poi saranno i brani “orientalisti” di Battiato dei ’90, che non a caso farà più avanti suoi anche dei grandi classici world come Fog in Nakhal e la canzone popolare irachena Zai Saman. Contiene tra l’altro un passaggio di pianoforte in reverse che ci catapulta subito nel periodo psichedelico dei ’70, come a cercare una linea retta tra la sua esperienza freak e quella new wave, in cui materia e spirito si fondono perfettamente.

Donatella Moretti, “La filovia” (1972)

Nel 1972 Battiato scrisse per la Moretti, cantante e conduttrice, questo brano particolare insieme al famoso Frankenstein, entità molteplice e autore dei testi degli Area, in cui appaiano le figure grigie di quel mondo moderno fatto di segretarie d’azienda “che parlano più lingue” e “gente che lavora per avere un mese all’anno di ferie” che ritroveremo in Patriots e in Orizzonti perduti. Per fortuna che c’è l’innamoramento a salvarci; magra consolazione. Con un curioso arrangiamento fatto di marcette barrettiane composte di veri e propri cucù mescolati ad archi che ricordano le basi di Mina e Patty Pravo, si sente ancora l’influenza beat ma questa volta penetrata da tematiche già “inquinate” che riportano alla paranoia di Ti sei mai chiesto quale funzione hai? contenuto in Pollution. Un piccolo gioiellino misconosciuto di musica apparentemente “leggera” che ancora una volta mostra invece un Battiato alla ricerca di un modello “trasversale” di comunicazione, tanto di rottura quanto popolare.

Genco Puro & Co., “Giorno d’estate” (1972)

Se c’è un brano che racchiude il Battiato pensiero, fatto di secondi imbrunire e di terrazze a mare, questo è Giorno d’estate. Anch’esso contenuto nel famigerato Area di servizio di Genco Puro & Co. e anche questo cantato e suonato da Battiato, è uno spaccato di ricordi melanconici, di mal d’Africa, una dolcezza amara intrisa di uno spirito che nell’incipt “andare senza meta per strade sconosciute / i sogni della notte sono illusioni avute” ci mostra il Battiato che conosciamo, per cui il viaggio è già l’arrivo. C’è in fondo tutto La voce del padrone in fieri qui dentro, il pop stuporoso e fuori dal tempo di Summer on a Solitary Beach, la semplicità di un giro di accordi che diventa mantra e le riflessioni mature di Orizzonti perduti, dove si guarda indietro soltanto per riprendere il cammino più forti “non rimpiangendo mai”.

Ascoltando questa canzone ci vengono gli occhi umidi, soprattutto nella frase finale che letta oggi sa di testamento: “Si accendono le luci / è tempo di tornare / non sogni né illusioni / ma questo nostro amore”. E di amore ce ne ha dato tanto Battiato: per questo dedichiamo questo brano con tutto il cuore – di rimando – a lui e a chi come noi l’ha amato. Grazie Franco.

Fonte: Rolling Stone

Foto: Mondadori portfolio/Getty Images

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