Articolo 6 degli Accordi di Parigi. Forse uno degli argomenti più controversi a Cop26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite in corso a Glasgow. Perché sul tavolo delle trattative c'è la creazione di quelli che il burocratese degli accordi ha chiamato “approcci cooperativi”, ma che nella pratica creerebbe un mercato del carbonio. Ossia un sistema di scambio delle emissioni tra i Paesi, attraverso cui chi inquina meno compensa chi sfora i limiti o ha bisogno di aiuto per non superarli.
Nulla di nuovo sotto il sole, se si pensa che gli emission trading systems (i sistemi di scambio delle emissioni) sono in piedi da anni. Nel 2020 Tesla ha incassato 1,58 miliardi di dollari di ricavi vendendo crediti verdi per compensare le emissioni di altre case automobilistiche, tra cui l'ex Fiat Chrysler (oggi Stellantis), General Motors e Honda. Quel che di diverso dovrebbe concretizzare l'articolo 6 e che è al centro dei negoziati specifici a Cop26, è un sistema di cooperazione internazionale, sia tra singoli Stati sia con la regia delle Nazioni Unite, per creare progetti che accelerino l'assorbimento di emissioni, specie nei paesi in via di sviluppo.
Facciamo un esempio: A e B si accordano perché il primo pianti una foresta nel territorio del secondo. Detta così, sembra facile. Ma dalle bozze dei negoziati in corso a Glasgow (documenti quindi, è bene rammentarlo, ancora provvisori), vengono a galla le grane di questo meccanismo. Dal quale non dipende necessariamente l'accordo generale della conferenza (finanza, azioni di mitigazione, stop a carbone e fonti fossili sono i macro-temi), ma sul quale si cerca da anni la quadratura del cerchio, finora senza successo. E siccome alla fine del 2020 sono entrati in vigore gli accordi di Parigi (prima facevano fede quelli di Kyoto), Glasgow potrebbe essere l'occasione per scrivere le parole definitive sull'articolo 6.
Cosa c'è nell'articolo 6
Proviamo ad andare più a fondo. Partendo da una premessa: più che su crediti sulle emissioni (che pure sono previsti), il meccanismo alla base dell'articolo 6 si basa su progetti concreti che abbattono le emissioni. Come, per fare qualche esempio, piantare alberi, costruire impianti di cattura della CO2, sostenere la riqualificazione energetica.
Sono tre i punti caldi. Il paragrafo 2 prevede un meccanismo di scambio tra singoli Stati. Per regolarlo ci si basa sul pacchetto di impegni per ridurre le emissioni e centrare gli obiettivi degli accordi di Parigi, detti contributi determinati a livello nazionale (Nationally determined contributions, Ndc). A e B si alleano, A si impegna a costruire un sistema che cattura la CO2 per B. Il paragrafo 4 prevede un sistema simile, ma governato a livello centrale dalle Nazioni Unite. Infine l'8 introduce gli approcci “non di mercato”, previsti in particolare a sostegno dei Paesi in via di sviluppo.
A chi va il premio?
Passare dalle parole ai fatti, tuttavia, come sta avvenendo nelle stanze dei negoziati in Scozia, solleva una serie di problemi. Il più immediato: quando due Paesi si accordano per un progetto nel mercato del carbonio e si genera una riduzione, chi viene premiato rispetto ai suoi impegni nazionali? Il Paese ospitante, dove viene installato il progetto, o quello che lo realizza? Il problema da evitare è il double counting, il doppio conteggio. “Bisogna decidere dove si contabilizza la riduzione e sugli Ndc di quale Paese incide - spiega Giulia Persico dell'organizzazione non governativa Italian Climate Network (Icn) -. È una questione di trasparenza".
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