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Che differenza c’è tra “siero”, “antidoto” e “vaccino”? Risponde la Crusca

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Che differenza c’è tra “siero”, “antidoto” e “vaccino”?

Oggi vengono spesso usati come sinonimi, ma questo rivela un utilizzo troppo semplicistico di parole tecniche in un periodo in cui invece il lessico specialistico medico si sta diffondendo nell’uso quotidiano.

La risposta ad un quesito posto all’Accademia della Crusca ha cercato di fare un po’ di chiarezza.

Nonostante la Cina e la Russia avessero già regolamentato il loro vaccino e avessero messo a punto una loro campagna vaccinale nell’estate 2020, in Europa e negli Stati Uniti si è cominciato a parlare massicciamente di vaccino contro l’epidemia da Covid-19 soltanto a partire dal novembre 2020, quando alcune case farmaceutiche hanno iniziato a rendere pubblici i risultati derivanti dalle prime somministrazioni in prova. Nel giro di pochi mesi si è assistito a una vera e propria corsa al vaccino contro il nuovo coronavirus e l’attenzione internazionale dei media si è rivolta a questo nuovo frutto della scienza e agli aspetti economici relativi, tanto che l’argomento ha invaso (e invade tuttora) le pagine dei quotidiani di tutto il mondo. Parlare così tanto di vaccino, però, ha creato non pochi problemi linguistici: spesso, sia in televisione sia nei quotidiani, vengono impiegate le parole siero e antidoto con uso improprio. Vediamo perché improprio.

Il sostantivo vaccino indica nel linguaggio medico-scientifico ‘ciascuna delle preparazioni da inoculare per via parenterale o orale, ottenuta da sospensioni di microrganismi patogeni (morti o vivi ma resi innocui), ma immunogeni purificati o anche da sintesi chimica, capace di indurre una immunità specifica da parte dell’organismo’ (GDLI). Il sostantivo è un calco dal francese vaccin, per ellissi da virus vaccin ‘virus vaccino’, che indica il vaiolo delle vacche da cui è stato ricavato il primo vaccino immunitario (l’Etimologico). In parole povere, il vaccino viene inoculato (a volte somministrato per via orale) in soggetti non malati con la finalità di stimolarne il sistema immunitario affinché produca gli anticorpi specifici che il vaccino gli “dice” di produrre.

Il termine siero deriva dal latino sĕru(m) ‘parte acquosa del latte’, e con tale significato viene registrato nelle varie edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca e nel Tommaseo-Bellini. Nei ricettari di fine Ottocento e degli inizi del Novecento si parla di siero in relazione ai prodotti caseari:

Una delle operazioni fondamentali per la conservazione del burro è quella di impastarlo su una tavola di marmo, con le mani bagnate, allo scopo di eliminare tutto il siero che ancora il burro potesse contenere. […] Si mette il burro in una casseruola, su fuoco debolissimo, e si fa fondere, senza che debba soffriggere. Si tiene la casseruola sul fuoco per una ventina di minuti, fino a che la caseina e il siero si separino e si depongano, lasciando apparire il burro limpidissimo. (Ada Boni, Il talismano della felicità, Preziosa, Roma, 1927)

Anche Luigi Capuana fa largo uso di siero per indicare la parte liquida di scarto della lavorazione del latte, spesso usata come cibo povero nelle famiglie contadine. Nel Marchese di Roccaverdina (pubblicato nel 1901) addirittura lo contrappone al sangue, parlandone come di un liquido differente da esso:

Non solo in ambito letterario ma anche in quello strettamente scientifico, soprattutto alla fine del XIX secolo, siero viene usato per indicare un qualsiasi liquido sintetico:

Il corpo cellulare ci presenta caratteri alquanto diversi, a seconda che lo si studia a fresco, oppure dopo che abbia subito l’influenza dei reattivi induranti comunemente impiegati. […] Trattando le cellule nervose con reattivi diversi (siero iodico, soluzione attenuata di acido cromico o di acido osmico) si rileva che il loro corpo offre una finissima striatura disposta parallelamente alla superficie e concentricamente al nucleo, le singole strie veggonsi poi separate da un tenuissimo strato di sostanza finamente [sic] granulosa.[…] Secondo la sua esposizione, la struttura fibrillare [delle cellule nervose] può nel modo più evidente essere rilevata coll’isolamento a fresco nello siero ed è più spiccata verso la corteccia della cellula, ma sarebbe pure evidente anche nelle parti interne; inoltre più spiccata vedrebbesi nei giovani che nei vecchi. (Camillo Golgi, Sulla fina anatomia degli organicentrali del sistema nervoso, Milano, Hoepli, 1886; cfr. VoDIM)

E nel corso del Novecento, fuori dall’ambito strettamente medico, molte sono le attestazioni di siero per designare una sostanza chimica creata in laboratorio e per lo più destinata all’inoculazione:

Il “siero” che rende giganti […] Nani e giganti a volontà col siero del dott. Evans. Vi si riferiva di una seduta affollatissima («soltanto a fatica gli ultimi arrivati poterono trovare un piccolo posto») all’Università di Los Angeles. Un tal dott. Evans stava lì ad esibire strani fenomeni viventi: cavie, topi, cani divenuti nel giro di pochi giorni mostruosamente giganti in virtù del siero da lui inoculato. […] La prova su un pulcino tentata altra volta nel laboratorio di quella stessa università era riuscita disastrosa: a poche ore dalla inoculazione del siero la bestiola parve improvvisamente «impazzire» rigirandosi su se stessa vorticosamente, gli occhi le si annebbiarono, le piume si inumidirono di un umore schiumoso biancastro, e inaspettatamente morì. (“Il Nuovo Corriere della Sera”, 156 nuova serie, 7/11/1946; cfr. VoDIM)

Oggi possiamo sentire e leggere la parola siero in ambito cosmetico per indicare un prodotto che ha consistenza, meccanismi di azione e modalità di assorbimento diversi rispetto a una crema:

Il siero antirughe è un prodotto cosmetico che non può mancare nella routine quotidiana di ogni donna. Soprattutto ai primi accenni d’invecchiamento cutaneo, esso ridona vitalità e vigore alle cellule dell’epidermide. Il siero antirughe è un concentrato di principi attivi specifici che possono aiutare a migliorare il benessere di viso, collo e decolleté. Venduto in confezioni ridotte rispetto alla crema, proprio per il quantitativo di eccipienti al suo interno, infatti ne basta una minima quantità nell’applicazione. (articolo nel sito cremaviso.net)

La parola siero usata nella cosmesi rivela una strategia comunicativa di stampo pubblicitario e innesca delle inferenze che rimandano sicuramente all’ambito scientifico: il destinatario percepisce il siero come un prodotto frutto di ricerche chimiche specialistiche e dunque più efficace rispetto a una semplice crema o a una maschera per capelli. Inoltre in cosmesi i sieri sono liquidi (per lo più contenuti in boccette) da applicare con un contagocce, atti a un trattamento più ricercato e “raffinato”.

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