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Lupi e Agnelli, la parola di Roberto D’Agostino

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Con il danaro si fa tutto, tranne gli uomini. Quando va bene, si diventa Gianni Agnelli. Troppo ricco. Troppo bello. Troppo sesso. Troppo popolare. Troppo padrone. Troppo annoiato. Troppo stroppia. Adulato come Apollo Etrusco, Principe del Rinascimento, Gianni il Magnifico, Aristocratico della Sacra Ruota, è l’incarnazione stessa del capitalismo italiano del Novecento.

Un mesto francobollo celebrerà il prossimo 12 marzo il centenario di un blasé senza blasone, di un Savoia immaginario, di un vampiro assetato di sangue blu che impalma solo quarti di Caracciolo (Marella). Se per gli italiani Gianni Agnelli è un monumento, per Gianni Agnelli ogni italiano è un numero di targa. Il suo Fiat-appeal rimbalza fra i salotti come un dildo caricato a molla. Le donne: Monica Guerritore e Jackie Kennedy, Anita Ekberg e Sonia Braga, Lory Del Santo e Dalila Di Lazzaro che di lui disse: «Era un uomo affascinante, ma sul piano umano non mi ha mai entusiasmato. Nelle grandi famiglie spesso è così, i sentimenti vengono te- nuti a freno, non c’è tempo per gli altri, nemmeno per i figli, uno pensa a godersi la sua vita e del resto se ne fotte».

L’Avvocato libertino se la cavava così: «Ho conosciuto mariti fedeli che erano pessimi mariti. E ho conosciuti mariti infedeli che erano ottimi mariti. Le due cose non vanno necessariamente insieme». Aggiungeva: «Si può far tutto, ma la famiglia non si può lasciare».

Incensato dai giornali, invidiato dai lettori, leccato da tutti gli altri, l’Avvocato ha sofferto un solo vero problema esistenziale: la noia. E usa una frase geniale per togliersi di torno chi lo ha stufato: «Caro, non voglio approfittare ulteriormente del suo tempo».

Il suo Agnellismo è nutrito di cinismo snob: «Chi si lamenta è un provinciale». Garbo fottente: «Giovanna Melandri? Mi sembra una segretaria. Ma non la mia, quella di un altro». Culto del gesto elegante: «Ci sono due tipi di uomini: gli uomini che parlano di donne, e gli uomini che parlano con le donne; io di donne preferisco non parlare». In lui c’è il padrone delle ferriere con uso di mass-media («Se va bene alla Fiat, va bene all’Italia»); c’è il decadente scostumato (quando si tuffa dallo yacht col pisello all’aria); c’è il politico che arrota la soave erre moscia in salata arringa («L’Italia deve scalare le Alpi, mentre invece una specie di forza di gravità ci trascina verso il Mediterraneo»); c’è l’uomo che subisce il più grande dolore: sopravvivere al figlio. Marina Cicogna, che lo conosceva bene, disse: «Gianni ha cominciato a morire dopo il suicidio del figlio Edoardo».

Fonte: Vanity Fair

 

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