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Corte Costituzionale: email e WhatsApp sono corrispondenza

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La Corte Costituzionale ha stabilito che e-mail e WhatsApp sono da considerarsi forme di corrispondenza.

Ha accolto il conflitto di attribuzione presentato dal Senato contro la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze riguardo alla legittimità dell’acquisizione di corrispondenza del senatore Renzi, in violazione dell’art. 68, terzo comma, della Costituzione.

La sentenza n. 170 del 2023 ha dichiarato che la Procura non aveva il diritto di acquisire, senza autorizzazione preventiva del Senato, messaggi di posta elettronica e WhatsApp del parlamentare o a lui diretti, conservati su dispositivi elettronici appartenenti a terzi, oggetto di provvedimenti di sequestro nell’ambito di un procedimento penale a carico del senatore o di terzi.

La Corte ha stabilito che tali messaggi rientrano nella nozione di “corrispondenza”,

con rilevanza costituzionale, e la tutela di questa corrispondenza non si esaurisce quando il messaggio viene ricevuto dal destinatario, ma perdura finché sia attuale e di interesse per gli interlocutori, contrariamente a quanto sostenuto dalla Procura.

Gli organi investigativi possono procedere al sequestro dei dispositivi elettronici di terzi, come smartphone, computer o tablet, ma se rilevano la presenza di messaggi tra un parlamentare e altri soggetti, devono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e ottenere l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare prima di includerli nel sequestro.

Questo vale indipendentemente dal carattere “occasionale” o “mirato” dell’acquisizione dei messaggi stessi.

La Corte, tuttavia, non ha accolto il ricorso riguardo all’acquisizione senza autorizzazione della Procura dell’estratto del conto corrente personale del Senatore Renzi, poiché tale estratto non era stato inviato dalla banca al parlamentare, ma allegato a segnalazioni di operazioni bancarie provenienti da uffici della Banca d’Italia.