Esterno Notte

Bellocchio, Esterno Notte: scuotere il rimosso sul caso Moro

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Marco Bellocchio, regista dell’intimo e del politico quasi come fossero una cosa sola, compie con Esterno Notte un’operazione unica poiché si ricollega a un suo film precedente, straordinario, che venne presentato in concorso a Venezia quasi vent’anni fa, Buongiorno notte. In quell’opera il regista raccontava il dramma del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse nella primavera del 1978, soprattutto dal punto di vista interno al gruppo terrorista e dello stesso Moro.

Qui al contrario, come dice il titolo, c’è prima di tutto il racconto di chi stava all’esterno. Ed è la rappresentazione di un gigantesco psicodramma che distrugge però le persone dall’interno. Ma siamo di nuovo all’intimo che è indissolubile dalla dimensione politica, anzi ne è la quintessenza. Ovviamente il registro dell’intimo è in osmosi con la consueta connotazione psicoanalitica che ben conosciamo. E ne emerge, a eccezione della persona di papa Paolo VI, grande amico dello statista assassinato, un ritratto di persone disturbate, irrisolte, mediocri umanamente prima ancora che politicamente, come alla fine dirà dalla sua prigionia lo stesso Moro, interpretato magistralmente da Fabrizio Gifuni, con quella sua perenne espressione ironica, lo sguardo di chi è più consapevole e più avanti di tutti gli altri, di chi già sa tutto. E forse si sentiva predestinato, in cuor suo.

Un atto di civiltà

E quindi Bellocchio, presentando qui un prolungamento di Buongiorno notte, crea un ideale romanzo in più parti sul grande trauma nazionale, di cui il regista, in linea con la lettura psicoanalitica, sembra come voler scuotere il rimosso. Il rimosso collettivo che ovviamente è anche intimo.

Tuttavia, come in Buongiorno notte, c’è anche, e anzi qui più ancora, la rappresentazione di un Moro liberato, di cosa sarebbe accaduto se lo avessero fatto, e forse più estesamente di come saremmo tutti noi più liberi, poiché questa tragedia è un fardello che ancora pesa sull’evoluzione, o involuzione, che ha avuto la politica nazionale, come pure sulla coscienza di tutti noi e che non va rimosso. La non rimozione, ma piuttosto la sua analisi, il sapere affrontare il dolore come una purificazione verso una forma di pace, quasi un atto di civiltà.

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