colori del cielo

Tutti i colori del cielo

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Ciao, sono Giusy e sono frocia. Sì, proprio frocia.

Quando adolescente lo confessai al mio migliore amico, mi rispose che il termine giusto per una donna è lesbica, ma non l’ho mai gradito perché lesbica è propriamente femminile, invece io mi sono sempre sentita un uomo.

Vi fa ridere perché non ho i testicoli? Vi sfido a trovare un maschio che ne abbia più grandi dei miei!

Ma non sono qui per dire come vorrei essere chiamata, pure Giusy non è il mio vero nome. E poi a me di come mi chiamate importa poco, anzi niente.

Voglio solo raccontarvi un paragrafo della mia storia, in cambio di nulla.

Tutto cominciò con la sua foto su facebook: non riuscivo a smettere di guardarla!

Avevamo qualche amico in comune e quasi subito iniziai ad apprezzarla anche per la sua intelligenza.

La pensavo continuamente e lei neanche sapeva che esistessi.

Poi, piano piano, tra un commento simpatico e l’altro, diventammo amiche e cominciammo a scambiarci messaggi privati.

Lei mi raccontava di suo figlio, della sua città, delle sue delusioni, dei suoi sacrifici. Io della mia moto, delle birre nella borsa, del mio cane e di quanto mi piacesse il mare. Entrambe lontane dagli uomini, esseri infantili e sleali.

Iniziammo a sentirci telefonicamente e dopo qualche mese mi disse che sarebbe venuta a trovarmi: “allora le piaccio!”

Appuntamento al bar del centro. Arrivai in moto, lei era già lì con due amiche, che sinceramente neanche ricordo.  “Perché sei venuta con loro?”, mi fissò senza rispondere e io l’avrei baciata all’infinito.

La sognai tutta la notte: io e lei, in moto su un lungo viale alberato.

La mattina successiva mi svegliai presto, felice. Mi alzai che era ancora buio, feci colazione in fretta, misi il guinzaglio a Paco e ce ne andammo sulla spiaggia.

L’aria fresca mi portava l’odore del mare nelle narici, l’iPod le canzoni di Capossela nelle orecchie.  Aspettavo l’alba, volevo godermi tutti i colori del cielo pensando a lei.

Le scrissi: “Ti ho sognata, ora sono in spiaggia e ti penso. Buongiorno”. Nessuna risposta, ma capitava spesso e non ci feci caso.

Stava diventando un’ossessione ,  dovevo dirglielo.

La chiamai.  Parlai precipitosamente,  senza ripensarci e senza darle il tempo di dire qualcosa, perché la sua voce mi bloccava sempre il fiato: “Lo so che ci conosciamo da poco, ma ho capito che siamo fatte l’una per l’altra e vorrei proprio iniziare una relazione con te. So che devi pensare prima a tuo figlio, saremo discrete e tuo figlio sarà anche il mio. Mi piaci molto e, se sei d’accordo, verrò a ripeterti tutto personalmente oggi stesso”.

Dall’altra parte  una voce maschile: “Sono Mauro, il compagno di Elisa. Sta cucinando e non può rispondere, ma non sono certo che cercassi lei, anzi credo proprio che tu abbia sbagliato numero”.

“Sicuramente, scusi”.

Davanti ai miei occhi i fotogrammi di loro due sorridenti che giocavano a cucinare insieme. Immaginai che ridessero di me, della mia “anomalia”, del mio fantasticare una vita con lei.

Mi assalirono decine di domande: cos’era successo? Perché avevo creduto che fosse come me? Perché avevo pensato che provasse le stesse cose, senza che lei mi incoraggiasse?

Avevo perso tutta me stessa in quell’equivoco?

Presi la moto, imboccai la strada e iniziai a sfrecciare tra le macchine. Le domande mi ronzavano in testa e l’unica risposta che mi davo era: sei una stupida.

Mi fermai solo quando vidi il sole calare nel mare. Iniziai a piangere:  “È successo che ho incontrato una persona che mi ha emozionato. Io mi sono innamorata, lei no. Tutto qua.”

Presi una birra dalla borsa, scesi in spiaggia, accesi l’iPod e restai seduta a godermi tutti i colori del cielo pensando a lei.

Che coss’è l’amor
è un indirizzo sul comò
Di un posto d’oltremare
Che è lontano
Solo prima d’arrivare
Partita sei partita
E mi trovo ricacciato
Mio malgrado
Nel girone antico
Qui dannato
Tra gli inferi dei bar”

(Vinicio Capossela, Che coss’è l’amor)

 

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