Il fatto è che...: il paradosso della verità nell'era della disinformazione

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Nell'era della disinformazione c'è una forza invisibile che serpeggia nelle pieghe della nostra quotidianità digitale, un eco costante che trasforma le falsità in verità apparenti. Ripetizione dopo ripetizione, la bugia si fa confortevole, quasi familiare. Ed è qui che si annida il vero pericolo. Come possiamo, in un contesto simile, fare affidamento sul giornalismo indipendente, su quelle notizie che dovrebbero rappresentare la bussola per orientarci nel caos dell'informazione?

L'illusione della ripetizione

Un recente studio condotto da Irene Larraz, Ramón Salaverría e Javier Serrano-Puche, dell'Università di Navarra, ha posto una domanda cruciale: il fact-checking può davvero arginare l'onda delle falsità? Durante la campagna elettorale spagnola del 2023, ad esempio, l'organizzazione di fact-checking Newtral ha individuato oltre trenta affermazioni false ripetute incessantemente, anche dopo essere state smentite.

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Ma perché le falsità persistono? La risposta sta nella natura umana: l'apparente familiarità di un'affermazione ci induce a crederla vera. Studi accademici, da Festinger a Pennycook e Rand, confermano che la ripetizione crea una sorta di "verità percettiva". È un meccanismo subdolo, una scorciatoia mentale che favorisce la disinformazione.

Disinformazione - Le sfide del fact-checking

Non è sufficiente smentire una bugia. Bisogna farlo con la stessa forza narrativa con cui essa è stata diffusa. Organizzazioni come Aos Fatos in Brasile e il Washington Post con la sua categoria "Bottomless Pinocchio" cercano di affrontare il problema evidenziando la ripetizione delle falsità. Ma è una battaglia impari, una corsa contro il tempo.

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Anche il lavoro di NewsGuard, con il suo Reality Check, mostra quanto sia complesso rintracciare le fonti ultime delle voci fuorvianti. Non si tratta solo di confutare le affermazioni, ma di smascherare i meccanismi che le alimentano. E qui emerge la vera sfida: come contrastare un sistema che si nutre della nostra distrazione e della nostra fiducia?

Le parole che volano

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Jonathan Swift lo aveva già capito nel 1710: "La falsità vola, e la verità la segue zoppicando". E nell'era digitale, questa metafora si amplifica. Una bugia può raggiungere milioni di persone in pochi secondi, mentre la verità si scontra con algoritmi, pregiudizi e una crescente disillusione.

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Eppure, non possiamo arrenderci. La smentita deve essere rapida, profonda, creativa. Deve competere con la stessa energia narrativa delle falsità. Perché il rischio è troppo alto: lasciare che la disinformazione plasmi la nostra percezione della realtà.

La responsabilità dei bugiardi seriali

Avere ragione non basta. I fact-checker, come i giornalisti investigativi, devono insistere. Devono ripetere, con la stessa costanza delle bugie, l'appello alla responsabilità. Non possiamo lasciare che i manipolatori, i propagandisti, i bugiardi seriali si nascondano dietro il rumore. Serve una voce chiara, una narrazione che riporti al centro la verità.

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Non è solo una questione di informazione, è una battaglia culturale. La verità, quella autentica, ha bisogno di tempo, di impegno, di passione. E soprattutto, ha bisogno di noi. Di lettori attenti, di cittadini consapevoli. Perché ogni bugia smentita è un passo avanti verso una società più giusta, più libera.

E allora, forse, possiamo trovare conforto nelle parole di Swift: se la verità è lenta, non è detto che non possa raggiungere la sua destinazione.

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